La versione di Madràs


Fra i collaboratori di Ìsmandri ce n'è uno estremamente silenzioso e riservato: l'agente Madràs, il suo autista. Qui, il giovane uomo ci racconta la sua visione del Sovrintendente, dal primo loro incontro! Un modo diverso per conoscere il protagonista!

(Attenzione: spoiler!)

La prima volta che l’ho visto, ho pensato a uno scherzo dei miei colleghi. Quest’uomo alto, ben vestito, col fisico da modello e l’aria intelligente a tutto somigliava tranne che a un Sovrintendente – almeno secondo la mia esperienza! Mi si è avvicinato, io stavo a fianco della macchina d’ordinanza, e mi ha sorriso porgendomi la destra, come se fosse contento di vedermi.

«Ìsmandri Rassùi Xeòfines - si è presentato - grazie per farmi d’autista, non saprei ancora orientarmi qui a Vènia.»

Lo ammetto, sono rimasto a fissarlo inebetito per qualche istante, mentre gli stringevo la mano. Obìska non mi aveva mai rivolto la parola in un intero anno di servizio! Non so se è da questo che ho capito che quel tipo lì, arrivato da Fassìma, fosse ben diverso dal suo predecessore e probabilmente da chiunque altro io avessi conosciuto. Quel primo giorno volle che io lo portassi liberamente in giro per tutta Vènia e mi ritrovai a fargli da guida turistica, indicandogli monumenti e edifici istituzionali importanti. Il modo in cui guardava tutto era lo stesso di un bambino curioso e brillante, uno di quelli che non ti rompe le scatole chiedendo continuamente perché, ma trovando bellezza e dettagli particolari ad ogni angolo. In quel momento, mi è stato simpatico, di quella simpatia che è anche tenerezza, no?

La seconda volta… beh, la seconda volta niente tenerezza. Già mentre si avvicinava all’auto, ho notato il suo sguardo incupito. E quando mi ha chiesto di portarlo a Ìska, mi sono venuti i brividi. A Ìska! Dèi potenti, come potevo immaginare? Dall’auto, ho guardato quello che faceva e mi sembrava un film d’altri tempi, un film su un eroe che domina la follia umana con il suo coraggio e il suo carisma. Mitico! C’è stato un momento in cui ho dato per sicuro che lo uccidessero, lapidandolo o sgozzandolo. Quando ho visto Passàdia poggiargli il pugnale alla gola, mi è dispiaciuto: no, dai – ho pensato – questo Fassìmico qui poteva essere una bella boccata d’ossigeno in questa città congestionata dai veleni della guerra! E lui che mi fa? Non solo mi resta vivo, ma ricaccia i dimostranti ribelli senza far partire un solo colpo di fucile! Dai, obiettivamente un Mito!

La terza volta che l’ho visto, è stata una casualità. Si era sparsa la voce che il Sovrintendente stesse organizzando un tour in auto per la Regione. Io non ero di turno, ma seppi che il mio collega, quello al quale era stato appena assegnato il Servizio di guida per il Giro, si stava dando malato. Che stronzata! Lo avevo appena visto con la sua ragazza e mi era sembrato in ottima forma! Lo abbiamo capito subito che se la faceva sotto all’idea di quel folle giro per la Valle senza scorta armata! Almeno, io l’ho capito! Allora non lo so che mi è passato per la testa, ma ho chiamato la Sovrintendenza e mi sono offerto volontario. Lo so, a chiunque quel pensiero di attraversare la Regione praticamente esposti alle mire dei Terroristi pareva un tentativo di suicidio, ma io ho pensato a lui, al Sovrintendente, e a quei suoi occhi che guardavano tutto con curiosità intelligente e ho pensato che gli altri miei colleghi non erano proprio ferrati in geografia e storia. Figuriamoci, non è stato un problema avere l’incarico! Così mi sono trovato in macchina con lui, a stretto contatto per tre settimane, e chilometro dopo chilometro Ìsmandri Rassùi Xeòfines mi è diventato sempre più simpatico. La gentilezza con cui parlava alla gente, il modo in cui sapeva ascoltare e capire, la sua volontà di fermarsi anche nei più piccoli comprensori di casali. E poi il modo con cui sa sorridere ai bambini, come se si sentisse il padre di ognuno. E dopo, ogni volta che saliva in macchina, stava lì a scrivere sul suo quadernetto e mi diceva: dobbiamo fare qualcosa e la dobbiamo fare subito, questa gente ha diritto di sentirsi sicura e di vivere serena. E io capivo che non solo lo pensava seriamente, ma che la sua mente era già in piena ideazione. Le persone, dopo che lui le salutava, sembravano incantate, come se avessero ricevuto udienza da un Potente in persona, e dallo specchietto retrovisore vedevo facce commosse e speranzose. Xeòfines stava spargendo speranza in una Regione che fino a neanche un mese prima tremava dalla paura!

Al ritorno, poi, quando io pensavo che sognasse solo di andarsene finalmente a casa, farsi una doccia e riposarsi, ecco che mi arriva la botta: vuole andare a Dèsda! A Dèsda! Va bene per Ìska… ma Dèsda! Gliel’ho detto che era un suicidio e lui candidamente mi dice che, in caso, sono autorizzato ad andarmene e lasciarlo là. Mi è sembrato un bambino incosciente, lo ammetto, e mentre lo aspettavo per ore in auto – convinto che lo stessero facendo a pezzi – mi sono sentito in colpa per non essere riuscito a dissuaderlo. Finché l’ho visto tornare, corrucciato ma intero e pure con una busta da shopping in mano e ho pensato: questo qua è sovrumano!

È stato in quel momento che mi sono convinto che nessun altro dei miei colleghi poteva essere adatto a fargli da autista, che dovevo pensarci io a lui, che me ne volevo prendere cura. Così ho chiesto l’incarico permanente e nessuno me l’ha negato. Rido pensando che – solo pochi giorni dopo – in almeno dieci, invece, hanno cominciato a corteggiarmi per darmi il cambio. E certo! Ora lo sta-vano capendo tutti chi era Ìsmandri Rassùi Xeòfines e a tutti veniva la voglia di entrare con lui nella leggenda. Ma io no, io il mio posto non l’ho mai ceduto a nessun altro, finché lui è stato nella Valle! È stato cosa mia per tutto il tempo, perché di uno come Xeòfines ti innamori all’istante e non lo molli. 

Il giorno che lo hanno ferito non lo dimenticherò mai… Ho impressa negli occhi e nella mente ogni scena di quella mattina. E la mia paura, il terrore che questa volta i Potenti non potessero favorirlo. Ricordo come batteva pazzo il mio cuore quando ho capito che quel fantoccio camuffato da Passàdia avrebbe sparato. E quando ho visto che barcollava, la mano sul petto e lo sguardo sorpreso, mi sono sentito come uno che vede il fratello morire. Ho corso, insieme ai colleghi dell’antisommossa, e avevo in mente solo un pensiero: la mia vita per la sua, a qualunque costo. E ci siamo riusciti a proteggerlo, che i Potenti siano lodati in eterno per questo. Il presentimento brutto lo avevo avuto anche prima, mentre correvamo al Varco occidentale e mi chiedevo come mai ci avessero comunicato di quegli scontri. Lo sapevamo tutti che, dopo Ìska, i militari avevano tagliato le comunicazioni con la Sovrintendenza, per evitare interferenze. E allora perché lo sapevamo? Glielo avrei fatto notare, ma lui era al telefono e mi sembrava felice, così ho capito che stava chiacchierando con la persona che amava – come potevo pensare di chi si trattasse?? La tensione al Varco era pazzesca, lui mi ha chiesto come sempre di aspettarlo, ma io con tutto rispetto ho disobbedito al comando e gli sono andato dietro, già armato. Me lo sentivo, cavolo, me lo sentivo nel sangue! E se lui non ce l’avesse fatta, mi sarei sentito colpevole a vita! E invece, Xeòfines ne è uscito vivo e più forte di prima! L’ho detto: da Mito dei Potenti!

Sono stato fortunato a stargli a fianco sin dall’inizio; non cambierei le mie ore con lui neanche con quel-le di una donna mozzafiato. Sono diventato un uomo diverso accanto a Ìsmandri Rassùi Xeòfines, perché guardando lui e guardando il mondo con i suoi occhi, ho capito l’assurdo in cui vivevamo, non solo noi Rassuiàni ma anche loro, i Leg… i Damasdèi. Ci siamo fatti reciprocamente delle cose orribili, ognuno nelle proprie ragioni ma nessuno da giustificare. La guerra non può essere giustificata, l’odio non lo può, i pregiudizi sordi e ciechi che ti fanno credere che l’altro diverso da te non ha diritto ad essere umano come te.

Dopo che lui è andato via, dopo che è tornato a Fassìma come Sovrintendente, io ho lasciato il Servizio e ho studiato per diventare istruttore delle reclute. Voglio usare la mia esperienza con Ìsmandri per insegnare ai ragazzi e alle ragazze che diventeranno poliziotti e poliziotte il modo di essere polizia che Ìsmandri mi ha insegnato:

"servire e non dominare, proteggere e non reprimere. Comprendere ed essere portatori di pace nella legalità."

E i miei figli, quando ne avrò, sapranno che un giorno un uomo ci ha insegnato che Rassuiàni e Damasdèi sono fratelli.